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Associazione Teatro di Buti – Fondazione Pontedera Teatro

GIORNO DI MORTE NELLA STORIA DI AMLETO

di Bernard Marie Koltès

traduzione Luca Scarlini
con Chiara Argelli, Gianni Buscarono, Giovanna Daddi e Dario Marconcini
scene e costumi Leontina Collaceto
regia Dario Marconcini


Debutto: maggio 2009

Vibrante ed inedito Koltès.

Koltès uno dei più grandi autori teatrali del secondo novecento è conosciuto per i suoi testi da “Combat de negre et de chien” a “Roberto Zucco” molto meno per i suoi testi di esordio.
Questa è una piece mai rappresentata in Italia e poco conosciuta anche nel suo paese di origine .
E’ scritta dal giovane Koltès in un primo periodo di creazione quando si confrontava con i grandi classici; qui non ne fa un esercizio di stile anche se esso traspare in questa colta cristallina scrittura, nella quale ci sono già tutti i germi di quella che sarà la sua vena poetica che svilupperà nei suoi capolavori: l’emarginazione, la solitudine, la perdita di identità.
Questi i grandi temi che si confrontano con la storia conosciuta di Amleto con un effetto spesso spiazzante.
Attraverso questo testo Koltès cerca il superamento della cultura borghese, del meccanismo della famiglia che fa esplodere con tutte le sue contraddizioni e della società industriale quasi una sorta di ricerca di nuovi miti.
Qui il mito originario dell’Amleto, che è un mito nordico basato sull’incesto e sull’assassinio del padre, è ormai lontano, piuttosto è la eterna commedia umana che si consuma all’interno della famiglia e che la farsa tramuta in tragedia.
Tutta la pièce è attraversata da un’aria di follia, a cui si sottrae appena Amleto, tanto che i personaggi tratteggiati da Koltès sembrano dei malati della Salpetrière che giocano a fare l’Amleto di Shakespeare, oppure dei borghesi che si rifugiano nel gioco dell’attore per sfuggire all’impatto della vita di tutti i giorni.

Dario Marconcini


“Giorno di morte nella storia di Amleto” rivela l’intenzione dell’autore di individuare le possibili coordinate proprie di un metalinguaggio teatrale attraverso la scomposizione e ricomposizione dei materiali letterari, teatrali e cinematografici. Di qui la nostra scelta di giocare il pezzo di Koltès nello spazio dell’antica Società Operaia di Buti, dove la scena è progettata come un set cinematografico che riproduce la scansione architettonica dello spazio “reale”.
All’interno del set sono collocate tre quinte mobili memoria geometrico-narrativa del periatto greco, la cui peculiarità si definisce sia in funzione di una collocazione riconoscibile rispetto al codice del palcoscenico, che per definire tagli inaspettati e multipli propri dell’inquadratura cinematografica. Il pubblico - collocato su di una bassa gradinata fissa e parallela al boccascena che contiene il set- fruisce contemporaneamente di una visione intrinseca al teatro all’italiana, quanto a continue fratture dell’immagine e di conseguenza “dell’azione”, prodotte dai movimenti alienanti delle quinte. All’interno l’attore con abiti costruiti attraverso tagli e ritagli di pezze –memorie letterarie e di costume - produce la decomposizione dei “generi” teatrali senza peraltro mai pervenire all’univocità della “lettura”.

Leontina Collaceto


“Il Bardo non c’è: miraggi, travisamenti, travestimenti shakesperiani”
Una conferenza-spettacolo di Luca Scarlini
William Shakespeare è una presenza massiccia, corposa e circostanziata nella nostra cultura, con links talvolta insospettabili negli ambiti meno prevedibili. Straordinario juke-box di storie, è, di fatto, la migliore immagine del canone della letteratura occidentale e resiste invariato, tornando in auge a periodi alterni in contesti e per necessità differenti. Rivisitare è operazione quotidiana; tornare a un patrimonio già visto, già sentito, già letto e trarne nuova vita è un meccanismo, che pur da sempre esistente, ora ha il pregio e il fascino di una tecnica prioritaria. In tutto questo l'autore di Amleto ha un ruolo assolutamente centrale; non si contano infatti le versioni di ogni genere tratte dal suo repertorio, con una gamma di effetti e di propositi stilistici praticamente infinita.

Luca Scarlini


Luca Scarlini, il giorno della prima nazionale, ha raccontato con immagini e musiche presso il Teatro Francesco di Bartolo uno dei più resistenti fantasmi culturali d’Occidente e la puntuale, micidiale riscrittura di Amleto operata da un giovane Bernard-Marie Koltès.


LA CRITICA / Rassegna stampa – estratti

GABRIELE RIZZA / Il Manifesto
“L’ombra di Amleto sorseggia l’ultimo bicchiere rosso sangue. Il resto è silenzio, ma la tragedia continua. L’ha segnata di cartavetrata e cartavelina il giovane, non ancora drammaturgo esploso alla corte d’Europa, Bertrand Marie Koltès (prima dei campi di cotone, i negri contro cani, i succo). L’ha scovato e messo in scena per la prima volta da noi (tradotto da Luca Scarlini) Dario Marconcini in modo egregio e salubre, aiutato da scene e costumi di Leontina Collaceto (con Dario che fa Claudio, Giovanna Daddi come Gertrude, Chiara Argelli Ofelia e lo straubiano Gianni Buscarono nei panni del principe). Un Amleto da camera e in camera strindberghiana, nerastra e tutta nervi, semplice e affilata, ma stralunata, cangiante e straniante. Flessuosa e ibrida. Una versione minimalista nei mezzi (e nei personaggi) ma che guarda lontano, alla massima visionarietà cinematografica dei Dreyer e del Welles.”

GIANNI MANZELLA / Il Manifesto / Un gelido interno domestico per il principe di Danimarca
“Continuare a recitare, che altro si può fare?...(anche quando) i protagonisti che Bernard Marie Koltès ha racchiuso nello spazio angusto di Un jour de meurtres dans l’histoire de Hamlet sembrano condannati a ripetere di continuo il proprio gioco, le proprie relazioni pericolose. A ripetere parole che qualcun altro ha scritto per loro, nelle cui pieghe si nasconde tuttavia il senso attuale delle loro esistenze. ... Diventano soggetto del dramma giovanile rielaborato dallo scrittore francese a partire dall’originale scespiriano, da noi ancora inedito e mai rappresentato, ma poco noto anche nel paese d’origine, scoperto e messo in scena ora da Dario Marconcini nello spazio dell’antica Società Operaia di Buti (Giorno di morte nella storia di Amleto, traduce Luca Scarlini)....La rivisitazione, ogni rivisitazione, avvalora la dimensione mitica dell’archetipo nordico trasportato da Shakespeare al centro del canone occidentale. Ma interroga anche sulla sua necessità. Sui fantasmi che evoca sulla scena. “Qui c’è troppa luce per vedere” dice Gertrude. E sembrano veramente le parole che condensano il senso del lavoro, la richiesta di uno sguardo che vada al di là dell’immediatamente visibile. Capace di guardare nell’ombra, come da uno spiraglio, alla vergogna che li accomuna...Che Amleto è allora, quello di Koltès? Un Amleto senza, viene da dire...senza più l’apparato tragico convenzionale. Privato anche del protagonista, giacché qui Amleto non è che un ruolo per attore (non convenzionale è anche la fisicità di Gianni Buscarono che si avvale di una gestualità in levare, quasi musicale). Con lo sguardo rivolto invece all’anziana coppia che regna sulla casa che è paese e prigione, mamma Gertrude e il suo secondo sposo Claudio, che Giovanna Daddi e lo stesso Marconcini riempiono di sguardi prima ancora che di gesti. Dunque, più propriamente un Amleto borghese, dramma familiare e non più tragedia, visto con gli occhi di un giovanissimo, perché tale era all’epoca lo scrittore francese alle prime prove...assai più interessato alla contestazione generazionale di un inferno domestico appena addolcito da una vena di follia.
Una partita doppia, all’apparenza simmetrica, quella giocata tra i quattro interpreti in scena: perché se Amleto è un ruolo per attore, l’ubbidiente Ofelia ne è il corrispettivo femminile, l’altra sua metà, non lascia dubbi l’abito identico che indossano, una veste nera quasi talare. Sentimentale fantasma che diventa corpo isterico nell’interpretazione di Chiara Argelli.
Ma non tutto si sistema, in questo spazio chiuso, senza vie di fuga, che Leontina Collaceto movimenta con tre quinte girevoli. Dove penetra soltanto il rumore delle onde. Sì, questo paese è una prigione....Sarà la suggestione di quell’ossessione di lavarsi le mani dal sangue del loro delitto, che come insegnava Eduardo è forse solo quello di averlo messo nel bilancio della famiglia, il delitto.
Le parole di Shakespeare riemergono a brandelli. Recitarle di nuovo, che altro si può fare? O meglio, riascoltarle di nuovo. Perché questa è la condanna che si sono inflitti. Ma nella ripetizione anche la memoria lentamente sbiadisce, diventa dolore squisito, come in un lavoro di Sophie Calle. La Forza del destino, dice la musica che erompe memorabile nel finale. Il resto è silenzio.”

MARIA TERESA GIANNONI - Il Tirreno, Intrighi di famiglia, un Amleto diverso in salsa francese.
“Amleto ha un difetto di pronuncia e indossa un abito talare, una veste lunga come quella di un prete di campagna. E si aggira tra le quinte nere che invadono la scena recitando un dramma antico e sempre moderno. Ma la versione del dramma shakespeariano che Dario Marconcini presenta non è l’ennesimo rimasticamento. è quella scritta – mai messa in scena fino ad ora in Italia e pochissimo altrove – dal francese Bernard Marie Koltès (Giorno di morte nella storia di Amleto), autore di culto per tutti coloro che hanno vissuto i momenti più intensi del grande teatro internazionale anni ’80. E anche in questo testo giovanile dell’autore morto di AIDS, c’è fuoco vivo che brucia, ma anche la ricerca di un’eleganza formale che oggi non si trova più. Amleto è smontato e rimontato per raccontare la devastazione di un universo familiare dove rapporti malsani legano uno all’altro. Un universo soffocante da cui lo stesso Koltès fuggì giovanissimo.
In quattro personaggi c’è tutto l’essenziale e Dario Marconcini ne fa uno spettacolo pieno di ritmo, claustrofobico quanto basta. Avvolti dagli strepitosi costumi di Leontina Collaceto – regali e cenciosi, come fossero cuciti con gli avanzi di mille altre storie – gli attori danno vita ad un balletto grottesco e amaro che parla non soltanto di Amleto ma di tutti noi, dei sentimenti più incoffessabili, dei labirinti in cui si avvolge la mente. Marconcini ha tenuto per sé il ruolo di Claudio, impaurito e perfido, Giovanna Daddi indossa i panni regali e marci di Gertrude. Gianni Buscarino è un Amleto concreto e senza speranza, Ofelia è Chiara Argelli che affida la sua pazzia a equilibri instabili sulle punte dei piedi. Un quartetto che funziona alla perfezione.”

   

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