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DOMENICA 9 FEBBRAIO ORE 17.00 - TEATRO "VITTORIA" – CASCINE DI BUTI (Pi)
Garbuggino/Ventriglia
SE SALISSIMO UN GRADINO
da I Fratelli Karamazov di F. Dostoevskij

con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia
drammaturgia e regia Attilio Scarpellini
produzione Compagnia Garbuggino Ventriglia
luce Gianni Staropoli
suoni Emanuele Pontecorvo
Lo spettacolo parte dal trasalire di una voce nel brusio di una sala.
Gradualmente, passo dopo passo, attraverso un’intensificazione del dialogo attoriale, con Gaetano Ventriglia che si ritrova nei panni di Ivan Karamazov e Silvia Garbuggino in quelli del fratello Alesa intenti a discutere in una taverna, il loro confronto slitta in modo inaspettato nel vortice di quella Leggenda che è rimasta conficcata nel tempo come una scheggia profetica che nessuna interpretazione è mai riuscita del tutto a esaurire.
Il tavolo a cui siedono gli attori di Se salissimo un gradino è una proiezione di quello su cui si chiude Mozart e Salieri nella scena finale della taverna. Ma se la prima scena era immersa in un ring onirico, la seconda include la presenza del pubblico (del mondo) che, nel progetto iniziale, avrebbe dovuto sedere sul palco ai tavoli della stessa taverna in cui Ivan e Alesa si incontrano e portano avanti il dialogo che sfocia nella Leggenda del Grande Inquisitore. Anche laddove fosse impossibile praticare questa soluzione conviviale, il pubblico è presente attraverso la sonorizzazione di quel brusio, di un rumore che va e viene e si trasforma attraverso il racconto, producendo uno sdoppiamento della sala che ha l’effetto di allontanare l’immagine degli attori, di stagliarla in una distanza. È nel pathos di questa distanza che tutto avviene: gli attori passano dalla conversazione al dialogo, frantumando progressivamente i confini tra il concreto e l’astratto, diventando quello che nominano, incarnando la leggenda, ma secondo due diverse direzioni della loro partitura interpretativa: Gaetano Ventriglia performando la virtù e la parola, Silvia Garbuggino performando l’essere e il silenzio, e questo significa che mentre il primo si sveste fino a scoprire il centro vuoto della figura che interpreta – l’assenza su cui si struttura ogni teo-logia – la seconda si ritira nell’indicibile evanescenza della grazia (e nell’inafferrabilità di qualunque presenza). Giunti al loro unico contatto, lo “spettacolo” cortocircuita nel buio e il “rumore del mondo” riaffiora, ma in forma di musica.

Attilio Scarpellini

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